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Luciano Bergamaschi: L’imprinting di Olivetti nel mio impegno sociale.

Ancorotti Cosmetics
on September 30, 2024

a cura di Sabrina Grilli

“Adriano Olivetti ha sempre rappresentato per me l’imprenditore ideale, a cui ispirarsi. Il suo modo di concepire il lavoro, l‘impresa e il suo progetto di comunità sociale hanno lasciato in me un imprinting che  non ho più dimenticato, anche nelle successive esperienze lavorative, in aziende internazionali. La mia attuale attività di volontariato all’Acli, nell’ambito del welfare, è legata a quello che ho vissuto in Olivetti. Cerco di trasferire la sua visione aziendale, di imprenditore illuminato, nel welfare e nel pubblico. Ma è un’impresa molto ardua”.

Luciano Bergamaschi è approdato all’Olivetti nel 1968, anni di pieno sviluppo. Diplomato, dopo una prima esperienza all’Alfa Romeo di Arese è stato chiamato contemporaneamente dalla Olivetti di Ivrea e dalla Serio Everest di Crema.

“Scelsi l’Olivetti di Ivrea perché ero attratto dalla sua idea di impresa. Quando arrivai in azienda, il suo fondatore Adriano era morto da 8 anni ma tutto era ancora permeato della sua visione innovativa: un’integrazione tra impresa e la comunità che la ospitava, nella convinzione che i lavoratori non dovessero crescere solo da un punto di vista economico, ma anche da un punto di vista intellettuale e nel benessere sociale”.

La conferma della scelta azzeccata è arrivata già dal primo giorno di lavoro. “Fu una vera sorpresa perché arrivai in treno a Ivrea la sera precedente il giorno dell’assunzione. Scoprii, con piacevole stupore, che l’azienda aveva l’abitudine di accogliere i neoassunti nella suite dell’Hotel Doria. Il giorno successivo, inoltre, sono stato invitato a mettermi in contatto con un ufficio che avrebbe provveduto a trovare delle soluzioni abitative per i dipendenti, sia presso privati sia attraverso minialloggi o strutture dell’ azienda stessa”.

I successivi 24 anni trascorsi in Olivetti, fino al 1992, lo hanno segnato profondamente in particolare nell’ambito del welfare aziendale che, sebbene appartenga a oltre 50 anni fa, è più lungimirante di quello che viviamo oggi.

“Olivetti è stato il primo imprenditore sostenibile a credere nel benessere oltre che nella crescita dei propri dipendenti, mettendo insieme economia, cultura, urbanistica, architettura, servizi sociali, dando risposta a tutti i temi della vita quotidiana dei lavoratoti, nell’ottica di una visione globale e comunitaria”.

Tutto ciò è testimoniato dai servizi presenti in azienda, investimenti che avevano ricadute dirette sulla qualità della vita dei dipendenti e del lavoro, ad esempio: “Scuole di formazione  post diploma, corsi universitari veri e propri, a tempo pieno, garantendo lo stipendio; anche a me è capitato di frequentare una scuola interna all’azienda, vicino a Firenze, a Villa Natalia, dove si faceva formazione sia per la parte commerciale, sia per la parte manageriale. Lì ho conosciuto una serie di persone come il sociologo Domenico De Masi, Luciano Gallino, Federico Butera, che hanno caratterizzato l’azienda da un punto di vista sociale e nell’ impostazione dell’ evoluzione organizzativa aziendale”.

Tra gli altri servizi e benefit offerti, a quel tempo innovativi: la presenza della mensa aziendale con due pasti garantiti al giorno; asili nido aziendali per conciliare lavoro e famiglia: “Gli asili e le scuole olivettiane  avevano gli stessi orari del calendario di fabbrica per cui chiudevano quando l’azienda andava in ferie; orario di apertura e di chiusura contestuali all’orario di fabbrica. In fabbrica era inoltre presente un ‘assistente sociale, uno studio medico costituito da dentisti, medici e consulenti; possibilità di fare visite specialistiche attraverso l’utilizzo di un fondo di solidarietà interno, a cui tutti i dipendenti partecipavano ogni mese, con una quota minima dello stipendio. Il fondo interveniva sia nel caso di emergenze legate alla salute, sia nel caso di problematiche economiche. Un’apposita commissione valutava i casi proposti e come intervenire. Altri benefit riguardavano il diritto alla maternità: negli anni 80 le donne, dopo aver partorito, potevano rimanere a casa fino a 9 mesi con la retribuzione pagata al 100%. C’era anche la possibilità di fare studiare, sia in Italia, sia all’estero, i figli dei dipendenti meritevoli. In estate i figli potevano andare nelle colonie, sia al mare sia in montagna, in posti molto belli accompagnati dalle loro mamme. Era disponibile una flotta aziendale per il trasporto dei dipendenti dai luoghi di residenza  ai luoghi di lavoro. Per consolidare il senso di comunità e l’appartenenza al territorio  in cui si viveva, era possibile usufruire di ferie retribuite per aiutare i genitori nella raccolta dell’uva, durante il periodo di vendemmia, per i dipendenti residenti nel Canavese. Erano offerte delle possibilità anche dopo l’orario di lavoro: ad esempio la biblioteca, situata in collina, sopra la fabbrica, organizzava convegni ed era fornitissima di libri e riviste internazionali oltre che organizzare corsi di inglese”.

Un modello, quello tipico delle fabbriche Olivetti di Ivrea, che si è tentato di esportare, anche a Crema 

“Dopo due anni, nel 1970, fui trasferito a Crema dove, insieme ad altri capireparto, istruttori,  avevamo il compito di ricreare, lo stesso clima vissuto ad Ivrea. La Pierina, come luogo ludico–sportivo–ricreativo, centro di aggregazione sociale post-lavoro, ne è un esempio tipico. Nello stabilimento cremasco inoltre c’erano molti dei servizi sociali offerti ad Ivrea, tra cui l’infermeria, l’assistente sociale, lo psicologo  per affrontare i momenti di criticità. Vi era anche la possibilità di fare le inalazioni con acque termali per i dipendenti bisognosi di tali terapie”

Luciano Bergamaschi, negli anni in cui lavorò all’Olivetti, oltre a crescere professionalmente, ad esempio  introducendo un nuovo sistema di rilevazione come Analista Tempi e Metodi, diventando Caporeparto e Direttore di produzione, Responsabile della produzione di tastiere, Responsabile della qualità e Responsabile dei sistemi informativi, assistette al passaggio innovativo e per certi aspetti rivoluzionario,  dell’organizzazione del lavoro aziendale, del superamento del Taylorismo come parcellizzazione del lavoro, ritmi di lavoro elevati e cottimo, all’attuazione delle teorie di Elton Mayo. Costui dimostrò come la produttiva aziendale aumentasse in presenza di un buon clima relazionale, caratterizzato da persone che lavoravano in gruppo, in cui si sentivano parte attiva, coinvolte nel processo di produzione e nelle iniziative dell’azienda. La gratificazione, il benessere nel sentirsi parte di un lavoro comune, in cui collaboravano dirigenti, capireparto, metodisti e operai, accomunati dallo stesso obiettivo, era funzionale all’aumento di produttività ed era importante quanto la retribuzione economica. Una riposta dei tempi anche alle istanze sindacali che puntavano al miglioramento delle condizioni e dell’ambiente di lavoro. In questo Olivetti ha fatto la storia”.  

Nel 1992, dopo un’altra serie di esperienze lavorative fantastiche, come la realizzazione di un nuovo concetto di fabbrica automatica, una fabbrica flessibile, adatta ad assemblare e produrre diverse tipologie di prodotti, lo stabilimento di Crema chiuse.

A Bergamaschi fecero diverse offerte pur di farlo rimanere all’interno dell’azienda: un posto a Ivrea oppure a Singapore, all’estero. Scelse di dimettersi e iniziare una nuova esperienza professionale, in una multinazionale farmaceutica, La Roche, in cui trasferì tutte le innovazioni e il metodo di lavoro olivettiano. Troppo doloroso restare. La chiusura gli ha lasciato un vuoto che ancora oggi prova a colmare: “Olivetti mi ha dato l’opportunità di crescere sotto tanti punti di vista. Sono grato per l‘imprinting che mi ha dato e che ho cercato di portare in tutti contesti che ho avvicinato. Non ultimo nel sociale, con il mio impegno ancora attuale di volontario dell’Acli, nel terzo settore”.