a cura di Sabrina Grilli
“Dalla produzione di macchine per scrivere meccaniche alla prima macchina per scrivere elettronica al mondo: l’ET101, bianca, del 1978. La storia dello stabilimento Olivetti segue l’evoluzione di una parabola: dall’apice raggiunto intorno agli anni 80, al declino avvenuto a Crema nel 1992 ma che, in seguito, ha coinvolto anche gli altri stabilimenti”.
Orgoglio e fierezza traspare dal racconto di Ivan Dognazzi, ex dirigente Olivetti, per aver partecipato, con il suo lavoro, allo sviluppo di uno dei maggiori gruppi industriali italiani.
Assunto ad Ivrea nel 1969 fu trasferito presto a Crema, alla Serio-Everest, che passò il testimone all’Olivetti nel 1967.
“Ho iniziato a lavorare nello stabilimento vecchio, dove c’era l’officina meccanica dell’Olivetti e dove si produceva l’Everest, macchina per scrivere meccanica, come Analista Tempi e Metodi. Con la stessa funzione sono stato trasferito nel nuovo stabilimento di via Bramante.
Il mio lavoro di Analista Tempi e Metodi consisteva nell’organizzare, a fronte di un’operazione di montaggio di qualsiasi genere, la produzione; disporre i componenti delle attrezzature nella maniera più razionale; ottimizzare i movimenti perché fossero più economici. A seguire veniva rilevato il tempo impiegato, denominata P.O. Produzione Oraria, l’equivalente del tempo impiegato per produrre un certo numero di pezzi in un’ora. A quel numero moltiplicato per 8, le ore in un giorno, veniva poi applicato l’effetto stancante; durante la giornata si supponeva un calo di tensione per cui il numero di pezzi da produrre veniva ridotto per via dell’”effetto stancante”. Allora si applicava ancora il cottimo nel calcolo di una parte della retribuzione ma, all’Olivetti, era assolutamente accettabile. Con l’andare del tempo, le produzioni che venivano assegnate agli operai, sono sempre migliorate. L’ambiente di lavoro era oggettivamente buono”.
Tra le esperienze di lavoro più appaganti e stimolanti, il passaggio dalla produzione delle macchine per scrivere meccaniche alla prima macchina per scrivere standard elettronica al mondo. Era rivoluzionaria rispetto alle altre perché era silenziosa, non usava martelletti ed era veloce, con pochi elementi al suo interno.
“Fu un’avventura straordinaria. Selezionarono un gruppo di persone, io ero fra queste, che fu trasferito ad Ivrea. Proposero un corso di elettronica a una decina di persone in tutto, che ricoprivano ruoli e posizioni diverse: io come caporeparto, insieme ad operai, riparatoti, ingegneri. L‘Olivetti ha sempre investito in formazione. Il corso è durato circa sei mesi e una parte di noi ha partecipato, con l’ufficio progetti, alla conclusione del progetto della prima macchina per scrivere elettronica al mondo: l’ET101. Mi occupavo della parte elettronica delle piastre e per un certo periodo fui mandato anche a Scarmagno, nel Canavese, dove fu costruito un nuovo grande polo industriale a poca distanza da Ivrea”.
Obiettivo dell’azienda era quello di trasferire la produzione delle macchine per scrivere elettroniche nella città di Crema dove lo stabilimento era all’apice della produttività, con circa 3.000 dipendenti.
“Ho partecipato a questo trasferimento e, da zero, abbiamo acquistato gli impianti, addestrato le persone alla produzione elettronica, molto diversa da quella meccanica. Abbiamo installato le prime linee nello stabilimento vecchio. Poi, piano piano, le abbiamo trasferite qui, nello stabilimento nuovo. Io seguivo la produzione delle piastre elettroniche, che era una tecnologia completamente nuova”.
Inizia così l’evoluzione dello stabilimento cremasco e la meccanizzazione della produzione delle piastre elettroniche, l‘utilizzo cioè di macchine automatiche.
“E’ stata un’ esperienza molto interessante, per il suo aspetto formativo e innovativo. Mi piaceva il fatto che non fossimo relegati in un ruolo solo ma potevamo spaziare anche in altri ruoli. Premiavano chi avesse una visone ampia del lavoro, non limitata alla propria attività; nessuna preclusione. Ho imparato tanto e al contempo intuivo di essere parte di un progetto innovativo e all’ avanguardia, unico al mondo, un sogno”.
Dall’apice al declino. L’inizio della fine coincide con l’arrivo alla presidenza di Carlo De Benedetti. Era il 1978.
“A Crema la produzione delle macchine per scrivere elettroniche è arrivata dopo anni rispetto ad Ivrea, in cui si producevano già telescriventi ed altri prodotti. Nell’iter di trasformazione, sia degli impianti, sia della formazione delle persone, Olivetti ha dimostrato di essere una grande azienda. C’erano uffici meccanici ed elettronici e le produzioni erano diversificate. Tuttavia la concorrenza, nel campo elettronico, ha iniziato a farsi sentire, specie nella produzione dei componenti dove ci confrontavamo con gli Stati Uniti d’America. A ciò aggiunga che le ore di lavoro per realizzare una macchina per scrivere meccanica erano 5 volte superiori a quella elettronica; tutto ciò ha causato immediatamente un problema di esubero del personale. Di qui l’utilizzo della cassa integrazione, una novità inizialmente, almeno a Crema. Per evitare successivi tagli del personale sono andato alla ricerca di altro lavoro, da trasferire dal canavese a Crema. Ad esempio sono riuscito a portare nello stabilimento cremasco la produzione del personal computer e di alcune parti di elettronica, che allora erano una prerogativa di Scarmagno”.
Era evidente la necessità di incrementare l‘attività lavorativa per ridurre l’esubero del personale.
“Col tempo tuttavia l’emorragia dovuta alla perdita dei posti di lavoro, complici anche scelte manageriali ed investimenti sbagliati, non si è più fermata. Ha coinvolto non solo Crema ma tutte le fabbriche Olivetti. Gli ultimi anni sono stati occupati dalla risoluzione di un unico problema: il continuo esubero del personale”.
Quando, nel dicembre del 1992, chiuse lo stabilimento cremasco, Ivan Dognazzi, insieme ad altri, fu trasferito ad Ivrea. Ha continuato a svolgere il suo ruolo di responsabile della produzione nei vari stabilimenti del Canavese fino alla pensione. “Confesso di essere andato in pensione malvolentieri. Nonostante fossi stanco di fare il pendolare, rincasavo a Crema nel week-end, il lavoro continuava a piacermi moltissimo”.
Ha una grande ammirazione per Adriano Olivetti, il fondatore, e ciò che la sua fabbrica ha rappresentato, in Italia e nel mondo, fiero di averci lavorato.
“ L’Olivetti è sempre stata un ‘azienda che ha rappresentato un modello per quanto riguarda lo studio dell’organizzazione del lavoro. Una grande azienda sia da un punto di vista organizzativo, sia tecnico. In particolare, nel modo di concepire i rapporti e lo status dei dipendenti. Vi era molta attenzione al benessere delle persone che vi lavoravano, anche della loro vita privata. All’interno degli stabilimenti si poteva trovare il medico, convenzioni con il dentista, asili nido tarati sugli orari delle dipendenti. Fu un visionario e rivoluzionario da questo punto di vista. Ecco questo glielo riconosco”.